Le politiche giovanili secondo Annibale d’Elia.

Le politiche giovanili secondo Annibale d’Elia.
Luglio 23, 2017 Francesco

Con grande orgoglio pubblichiamo la trascrizione del video-messaggio di Annibale d’Elia presentato all’evento Piani a strati del 30 giugno scorso. Annibale si occupa da vent’anni di giovani, innovazione e lavoro. E’ stato tra i fondatori del programma Bollenti Spiriti della regione Puglia, esperto di politiche giovanili, start up, manifattura digitale, innovazione delle politiche pubbliche.

Si è reso disponibile a offrire il proprio contributo di esperienza, enucleandolo in sei ipotesi di lavoro.

1.Il contesto delle politiche per i giovani oggi.

A metà anni degli anni ottanta le politiche giovanili sono state avviate come azioni di inclusione per includere un pezzo di popolazione giovanile, quella problematica che esprimeva il famoso “disagio” e questo si traduceva spesso in servizi che avevano i giovani come destinatari. L’obiettivo era includere questo pezzo di società dentro il mondo degli adulti che era ritenuto essere il mondo in equilibrio.

Ma il mondo degli adulti è veramente ok? Se la sta passando bene? La risposta è no. Le politiche giovanili devono adottare la prospettiva dell’innovazione sociale. Cioè l’idea  è che noi adesso siamo in un momento di transizione auspicabilmente verso un modello di sviluppo più sostenibile, che così come le cose sono andate avanti fino adesso non possono più andare avanti, che molte politiche mostrano la corda, mostrano segni di palese inefficacia, rischiano di servire soltanto a chi eroga i servizi più che a chi li dovrebbe ricevere. Al tempo stesso ci sono delle emergenze sociali macroscopiche e urgentissime come i neet. Giovani che non studiano, non lavorano e non sono in formazione. Questa tematica è al centro dell’attenzione dei decisori di mezza Europa ma vede crescere il proprio numero, non è un problema che sembra risolversi ma acuirsi. Purtroppo non abbiamo ancora visto niente: il processo di esclusione delle persone dalla vita attiva rischia di essere ancora più radicale se non immaginiamo un profondo cambiamento. Quindi  il punto non è includere i giovani nel mondo così com’è ma chiedere aiuto ai giovani affinché questo mondo possa modificarsi.

2. Chi sono i giovani?

La definizione tradizionale di giovani li descrive come persone in transizione dall’infanzia/adolescenza all’età adulta attraverso step ben determinati e facilmente identificabili. In realtà mai più di oggi siamo tutti in transizione. Non esiste un punto di approdo in cui la nostra vita si stabilizza, in cui tutto scorre su binari precisi. E’ il modello di sviluppo che è in transizione.

Quindi ha ancora senso parlare di giovani visto che la situazione riguarda un po’ tutti? Sì, se parliamo dei giovani come “i nuovi”, persone che sono appena arrivate, persone portatori di un particolare tipo di bisogno e di un particolare tipo anche di risorsa: il fatto di guardare ai problemi per la prima volta. Quindi non si tratta di includerli ma piuttosto di essere trasformati da questa carica potenziale di cambiamento.

3. A cosa servono le politiche giovanili? Ha ancora senso farle?

Si ma se si va oltre il parlare dei giovani o come problema o come risorsa… in realtà i giovani sarebbero da considerare come l’unica speranza. C’è bisogno di nuovi punti di vista, di qualcuno che guardi ai problemi che abbiamo sempre guardato con uno sguardo nuovo. Non possiamo immaginarci che l’innovazione siano quelli di prima, sempre loro, che fanno cose nuove. Per far succedere cose nuove servono persone nuove.

4. Partecipazione

Partecipazione ci fa pensare ai lavori di gruppo con i post it in cui si scrivono i desideri, in cui c’è un facilitatore o forme di rappresentanza come i forum. Bisogna immaginare un approccio alla partecipazione giovanile come protagonismo non come rappresentanza. Bisogna completamente mettere in soffita l’idea che i giovani abbiano diritto a partecipare alla decisioni che li riguardano. Perchè tutte le decisioni riguardano i giovani, anzi la gran parte delle decisioni che vengono prese oggi riguardano molto di piu i giovani di coloro che le prendono, quelle decisioni. Partecipazione come politiche di abilitazione: metter le mani sulla realtà, prendere parte alla costruzione del mondo che abbiamo intorno.

Non riproduciamo organismi di rappresentanza per altro consultivi con scarso potere decisionale, ma incoraggiamo semmai la partecipazione dei giovani agli organi di rappresentanza quelli veri (consigli comunali, provinciali, parlamento). Altrimenti riproduciamo tristemente gli stessi problemi della crisi della rappresentanza in versione dedicata, che ha poco senso. La speranza è che i nuovi arrivati possano partecipare all’innovazione della democrazia rappresentativa che in questo momento non se la passa poi così bene.

5. Apprendimento

E’ il cuore delle politiche giovanili. Se c’è una caratteristica che hanno in comune tutti i giovani: è che tutti quanti i nuovi arrivati devono imparare. Come chi è appena giunto in un luogo che non conosce, non solo deve cercare di includersi, di acquisire delle informazioni base che gli permettono poi di sopravvivere, di prendere parte,  ma chi arriva da fuori vede anche delle cose che chi è dentro non riesce a vedere.

Politiche di apprendimento. Conosciamo l’approccio tradizionale: l’idea che l’apprendimento si faccia con delle politiche che tendono a trasferire la conoscenza con sistemi formali e non formali dove quelli non formali funzionano meglio con quelli difficili. Cioè imparare a bottega sia meglio che imparare tra i banchi per chi tra i banchi non riesce a stare. Provando ad attualizzare questo punto di vista: il world economic forum dice che la maggior parte delle persone che oggi frequenta la scuola elementare da grande farà un lavoro che non è ancora stato inventato.

Come facciamo a trasferire una consocenza che ancora non sappiamo qual è.  Per accettare una sfida così importante da cui dipende il futuro delle nostre comunità la dimensione dell’apprendimento informale/non formale,  il thinkering, lo smanettare con le cose, non leggere le istruzioni, non limitarsi a acquisire conoscenze formalizzate ma provare a imparare e a innovare nello stesso tempo può essere lo strumento il più efficace.

Questo significa lavorare con politiche di abilitazione che abbassino le barriere di accesso. Le politiche giovanili sono solitamente sinonimo di graffiti, rock&roll e siti web/app. Chissà perchè i giovani sono associati a quelle attività? Perchè sono attività a bassa barriera d’accesso. Ma le potenzialità espressive che i giovani sono capaci di portare come contributo alle nostre comunità  va molto oltre questi ambiti un po’ ghetto un po’ cliché che sono semplicemente quelli che naturalmente hanno condizioni di accesso semplificate. Altri ambiti come come scienza, tecnicologia agricoltura, il design, l’arte, la cultura…

Mettere in piedi delle politiche di abilitazione vuol dire anche rinunciare a costruire compartimenti stagni per le politiche per il talento e politiche per l’inclusione per il disagio. Le politiche giovanili possono tenere insieme le persone che hanno maggiori skill, maggiore capacità operativa, e quelle che fanno più fatica. Questo è lo spirito di una politica di apprendimento contemporanea.

6. Trasversalità

Le politiche giovanili tradizionalmente hanno ampi margini di sovrapposizione con la scuola, l’università, l’housing , la cultura, la creatività, il lavoro etc  debbono essere delle poltiiche che vanno a rompere le scatole ai decisori …trasversali nel senso che si fanno molte riunioni… si va a suonare le porte per pregare la gente di ascoltare il punto di vista dei giovani.

Immaginiamoci invece che se le politiche per i giovani servono per i nuovi, sono politiche di abilitazione, se lo scopo è fare entrare più nuovi possibile per favorire un complessivo ripensamento del nostro modo di vivere, di lavorare, di produrre valore.. cerchiamo di immaginarci che le politiche giovanili siano politiche che non fanno delle cose PER i ragazzi ma che le fanno fare direttamente a loro. Che siano politiche di protagonismo diretto, politiche abitate esclusivamente da persone giovani.

Servono disperatamente dei contesti in cui i giovani non sono ridotti a destinatari, non sono i soggetti su cui hanno effetto delle politiche regolative, sono le persone che hanno titolo a interessarsi, fare, occuparsi, abitare gli uffici, richiedere informazioni. Qualcosa che ci faccia uscire dall’idea che i giovani siano soltanto delle sagome di cartone su cui sparare con dei messaggi efficaci e magari con delle brochure colorate.

Questo perchè dobbiamo dircelo con un po’ di sincerità e anche di amarezza che la crisi delle politiche giovanili è una crisi di interesse dei giovani stessi, che però svanisce improvvisamente se gli investimenti vanno direttamente a interessare i ragazzi.

Conclusione

E’ una strada difficile, è complessa come le sfide che dobbiamo affrontare, ed è complessa soprattutto perchè contempla una forma di cessione di potere.

Cioè giocare il gioco delle politiche giovanili in questo modo qui non è conveniente, non crea particolare consenso, non risponde alle esigenze degli stakeholder ma prova a immaginare che l’investimento sui giovani sia anzitutto un investimento in termini di bene comune , non soltanto di far sedere un altro stakeholder al tavolo, ma immaginare che questa cosa non riguarda i giovani stessi ma riguarda tutto il futuro della nostra comunità.

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